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Pajare e altre Antiche Dimore

In Puglia e in particolare nel Salento, le costruzioni a secco compaiono sin dal XVI secolo.

Le barracas di Minorca, le caselle e i trulli della Puglia, i pajari o le pajare del Salento o i muragghi sugli Iblei in Sicilia, sembrano parte di uno stesso universo.

Queste costruzioni (navetas, talayots, taulas e barracas) hanno un carattere inequivocabilmente architettonico e sono stati richiamati e messi a confronto per condividere alcuni attributi, come il fatto di essere stati eretti secondo la medesima procedura: sovrapporre e allineare delle pietre a secco, cioè senza uso di materiali leganti e senza ricorrere a pezzi speciali per un migliore ammorsamento.

Questo processo comporta, in alcuni casi (navetas, talayots, e barracas), la comparsa di spazi definiti da false volte o false cupole, chiamate così perché in queste si ignora il principio statico della linea dell’arco su di un piano verticale, o si rinuncia ad esso.

Al suo posto la stabilità è ottenuta perché ogni strato di pietre è a sbalzo sul corso sottostante, venendo a definire così il profilo curvo o inclinato dello spazio interno; questo sbalzo si produce inserendo le pietre nel grande spessore del muro. In altri casi utilizzando il principio meccanico della costrizione, dove ciascun anello diminuendo di diametro funziona come un arco nel piano orizzontale a causa dell’inclinazione del muro interno, sia nelle configurazioni a conci scalettati, sia in quelle coniche.

Alcuni autori sostengono che la stabilità è raggiunta sempre attraverso il principio meccanico dell’“arco orizzontale”.

La sezione della parete è di solito costituita da un paramento interno ed uno esterno, costruiti con pietre di una certa dimensione, e riempiendo gli spazi liberi tra loro con pietre molto più piccole.

Il principio di funzionamento degli anelli come archi, dove le pietre si comprimono l’una sull’altra in una posizione orizzontale permette alla struttura di essere bloccata in qualsiasi livello, mantenendo aperta una lunetta verso il cielo: per completare la barraca si disponeva di solito una pietra verticale per chiudere l’ultimo foro, come un tappo sull’apertura di un contenitore; questa pietra, inutile come chiave di volta, si trasforma in segno apotropaico.

Tutte le costruzioni a secco condividono anche la rinuncia a qualsiasi tipo di rivestimento e il fatto di essere associati a quell’ambiente (geografico e culturale) che chiamiamo Mediterraneo, anche se modelli simili si trovano in molte altre parti del mondo.

Un primo tentativo di definizione

Per intendere correttamente il senso dell’espressione “costruzione in pietra a secco”, si devono, innanzi tutto escludere le tecniche di montaggio che realizzano la coesione delle parti elementari tramite chiodi e bulloni e simili connessioni, e riferirsi, più che a precisi caratteri distintivi, a tendenze, da un lato, relative agli aspetti tecnici, nella scelta dei materiali e nel modo di porli in opera, e dall’altro, relative all’ambiente fisico e sociale.

Sotto l’aspetto tecnico, la costruzione in pietra a secco impiega materiali litici di non grandi dimensioni, spesso estratti dal luogo stesso della costruzione, li pone in opera dopo una lavorazione minima, senza leganti e connessioni.

Sotto l’aspetto ambientale, dobbiamo osservare che il campo di applicazione della tecnologia è prevalentemente fuori le mura della città, ed è costituito dai pascoli e dai territori sottoposti alla bonifica e alla colonizzazione, purché le loro caratteristiche pedologiche siano favorevoli, per la presenza di rocce affioranti e per l’abbondanza di materiali lapidei, eventualmente portati in superficie dai lavori agricoli.

In queste situazioni la tecnologia ha il vantaggio di rendere minimi i costi dei materiali, spesso raccolti negli stessi luoghi della costruzione dai coloni, che possono essere impegnati, pertanto, oltre che nel recupero, anche in una forma parziale di autocostruzione.

Il primo utilizzo degli accumuli di sassi e di spezzoni di roccia divelta, è la delimitazione dei campi, poi vengono le costruzioni funzionali e le abitazioni e queste operazioni riguardano, sia le grandi proprietà soggette ad imponenti trasformazioni agrarie, che i piccoli appezzamenti dati in enfiteusi ai coloni che vi investono, al lungo termine, le loro energie lavorative.

In sostanza, l’ambito in cui la tecnologia si è qualificata in senso ambientale e di recupero, è essenzialmente rurale, apparendo inadatta alla città e alla sua edilizia civile e religiosa.

Un mutamento avviene alla metà dell’Ottocento, quando le leggi di eversione feudale e di soppressione degli enti ecclesiastici contribuiscono a redistribuire il possesso dei suoli agricoli su diverse classi sociali.

Prende avvio, allora, una grande trasformazione delle campagne pugliesi, durante il quale, prende forma il paesaggio.

Paesaggio caratterizzato da costruzioni a secco

Sitografia: http://www.architetturadipietra.it/wp/wp-content/uploads/2016/11/architettura_secco.pdf